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Alcune differenze tra gli offici divini greci e russi e il loro significato

Relazione al Congresso Liturgico dell’Istituto Teologico San Sergio di Parigi, il 2 Luglio 1975

Lo scopo di questa relazione non è di esaminare in dettaglio l’evoluzione storica delle forme degli offici divini, l’origine delle specifiche differenze tra greci e russi, il significato dei differenti Tipici in questo processo, né le loro mutue influenze, etc. Io non sono un liturgista, e non mi occupo di queste cose in modo sistematico. Mi limiterò a diversi commenti e osservazioni, di natura più personale, su come si celebrano la Liturgia e altre funzioni nelle chiese greche da un lato, e nelle chiese russe dall’altro. Nel parlare delle chiese di uso greco non mi dimentico che il Monte Athos non adottò le riforme di Costantinopoli del 1838 e rimase fedele ai Tipici più antichi. In questa relazione, non mi interesso solo dell’una o dell’altra variante testuale o di una differenza nelle rubriche, ma prima di tutto del significato che gli stessi atti liturgici possono avere nella consapevolezza dei fedeli, e di come questi si possono riflettere nella loro condotta religiosa, anche se tali differenze sono spesso basate su incomprensioni. Queste «varianti liturgiche» possono essere interessanti per comprendere e valutare tali particolarità di pietà popolare.

Inizieremo con alcune osservazioni più o meno ordinarie sulle differenze della celebrazione della Divina Liturgia. Si deve notare che le più grandi differenze tra i greci e i russi nelle loro celebrazioni sono collegate in un modo poco diretto al nostro tema, dato che avvengono nelle cosiddette preghiere «segrete», che non sono udibili alla maggior parte dei laici, e che pertanto non hanno influenza diretta sulla loro condotta. Nondimeno parleremo anche di questi, dato che queste preghiere costituiscono la parte più importante della Liturgia, e dato che il clero che le pronuncia fa parte anch’esso del Popolo di Dio. Lasciando da parte per il momento ciò che precede la Liturgia stessa (la Grande Dossologia per i greci, le Ore per i russi, così come la Proscomidia), ci fisseremo su di una differenza più sostanziale e caratteristica nella Liturgia dei Catecumeni.
In seguito alla riforma del 1838, i greci (eccetto i monaci athoniti che mantennero il vecchio ordine) hanno rimpiazzato i Salmi 102/103 («Benedici, anima mia, il Signore») e 145/146 («Loda, anima mia, il Signore»), così come le Beatitudini che seguono, con antifone, ovvero brevi appelli alla Theotokos o a Cristo, risorto dai morti e mirabile nei santi. I russi continuano a cantare ogni Domenica i due salmi menzionati e le Beatitudini. Questi sono rimpiazzati da antifone solo alle grandi feste o nei giorni feriali. L’abbandono dei salmi e delle Beatitudini ha il vantaggio (se di fatto si può considerare un vantaggio) di abbreviare la Divina Liturgia. Tuttavia, si deve notare con dispiacere che la Liturgia dei Catecumeni perde così il suo carattere didattico e biblico, sia vetero- che neo-testamentario, che deve esserne una parte. La stessa cosa si può dire della cancellazione, a opera della riforma del 1838, delle preghiere per i catecumeni. Diventa oscuro il perché la prima parte della Liturgia continua a essere chiamata «Liturgia dei Catecumeni.» Notiamo che i monaci greci athoniti continuano a pregare per i catecumeni durante la Liturgia per tutto il corso dell’anno.

Un altro fatto, che vogliamo notare, ha luogo nel corso della Liturgia dei Fedeli, durante l’Inno Cherubico. Qui le differenze di comportamento si notano immediatamente. Quando l’inno inizia, i greci hanno l’abitudine di sedersi, mentre i russi amano inginocchiarsi. Quindi, quando inizia il Grande Ingresso con i Santi Doni, i greci si alzano in piedi e restano in piedi, inchinando la testa, mentre i russi si alzano e stanno ritti (ma non tutti, alcuni fanno una prosternazione completa. Questi sono coloro che pensano che i Santi Doni siano già stati santificati — un’eresia condannata a Mosca nel XVII secolo). Si può dire che per i greci, l’’ingresso stesso e le commemorazioni sono la parte più importante, mentre per i russi lo è l’Inno Cherubico. Nulla tra queste pratiche, naturalmente, è prescritto dalla Chiesa Russa. Al contrario, si è fatto molto, specialmente in tempi recenti, per spiegare ai fedeli che non è appropriato inginocchiarsi nel corso dell’Inno Cherubico, specialmente alla Domenica, poiché a quel punto i Doni non sono stati santificati. Nondimeno tutti questi sforzi hanno avuto scarso effetto, tanto è radicata la pericolosa tradizione spirituale, espressa in questa pratica, di fare qualcosa di «mistico» dell’Inno Cherubico, il «centro profondo» della Divina Liturgia, a detrimento del Canone Eucaristico e della trasformazione dei Santi Doni. Quanto ai greci, la loro pratica può avere una spiegazione storica dato che l’Inno Cherubico è stato introdotto nella Liturgia molto tardi, solo nel VI secolo, a Costantinopoli. All’inizio, il suo scopo primario era quello di riempire il silenzio che risultava dalle commemorazioni dei viventi e dei defunti al tavolo dell’oblazione, poco prima del Grande Ingresso. (Incidentalmente, l’introduzione dell’Inno Cherubico fu soggetta a critiche da parte dei contemporanei, in quanto innovazione strana.) Così, dato che l’Inno Cherubico è semplicemente un «riempitivo,» è comprensibile che i greci lo ascoltino da seduti, com’è abituale in momenti simili.

Lo stesso si può dire di una delle prime frasi del Canone Eucaristico. Questa è letta in modo differente, almeno ai nostri tempi, da greci e russi: ’Eleon irinis, thisian eneseos’, che significa «Olio di pace, sacrificio di lode» (in greco) e «Misericordia di pace, sacrificio di lode» (in russo). Questo è ovviamente il risultato di una confusione ortografica che ha avuto luogo nei manoscritti greci tra le due parole, che nel greco bizantino, anche se scritte in modo diverso, si pronunciavano in modo identico (anche se con finali differenti: elaion — olio ed eleos — misericordia). Confusioni simili, chiamate «iotacismi,» accadono molto di frequente. È quasi certo che la forma elaion (olio) è quella originale e primeva, mentre eleos (misericordia) è erronea, o più probabilmente una deliberata nuova introduzione da parte di un copista che voleva «elevare» il testo. Qui vediamo un classico esempio dell’evoluzione di un testo biblico letterale in una forma simbolica e spiritualizzata. Si tratta del caso più improbabile di un’evoluzione «rovesciata» — dal semplice al complesso. I copisti e i liturgisti russi preferirono la forma spiritualizzata (misericordia e non olio), e la adattarono alla Liturgia slavonica. Tuttavia, sarebbe uno sbaglio pensare che spetti precisamente ai copisti slavonici «l’onore» di una simile «elevazione». Questa ha avuto luogo prima tra i greci, come testimonia Nicola Cabasilas, che ne è ben conscio nel suo «Commentario sulla Divina Liturgia» (XIV secolo). Anche se non cita letteralmente questo passo e si limita a parafrasarlo, la sua parafrasi mostra che lo legge come «misericordia» e non come «olio.» Ciò diventa più evidente nel passo seguente: «Offriamo misericordia,» dice Cabasilas, «a Colui che disse: Misericordia voglio e non sacrificio… Offriamo anche il sacrificio di lode» (P. G. 150, 396 AB).

È importante notare che tra i greci questa variante «spiritualizzata» non durò; essi rimasero fedeli al testo biblico, mentre per i russi, la variante «misericordia di pace» divenne per molte persone uno dei punti più alti della Liturgia, e molti grandi compositori ne scrissero varianti, cosa che fece crescere il suo fascino per quanti vengono in chiesa per sentire bei canti.

Un altro esempio di espansione di un testo breve, ma in questo caso puramente teologico, è stata motivata allo stesso modo dal bisogno di dare al prete più tempo per leggere la prima preghiera segreta dell’Anafora. La breve esclamazione (fatta dal cantore tra i greci) «Degno e giusto» (in risposta al prete che dice «Rendiamo grazie al Signore») è rimpiazzata nella Liturgia russa da una frase più lunga cantata dal coro: «Degno e giusto è adorare il Padre, il Figlio e il santo Spirito: Trinità coessenziale, e inseparata.» (Come nel caso di «misericordia di pace,» i russi hanno adottato una variante già presente nei manoscritti greci, ma non mantenuta nella tradizione liturgica). La pecca di questa disseminazione teologica si può vedere nella sua mancanza di continuità, dato che la risposta del coro non segue accuratamente le parole del celebrante («Rendiamo grazie al Signore» — «È degno e giusto») ma è rimpiazzata da un’istruzione per la venerazione della Santa Trinità. Ma d’altra parte, dato che non c’è tempo perché il celebrante legga la prima Preghiera Eucaristica durante la breve risposta del cantore, tra i greci di oggi è sorta una pratica oltraggiosa. Durante una concelebrazione, il secondo prete interrompe il primo celebrante (anche se è il vescovo), incapace di completare la preghiera segreta durante la risposta del cantore, con un’esclamazione ad alta voce di «Il trionfale inno essi cantano, esclamano, gridano e dicono…» (Tutto ciò per prevenire le pause, che gli ortodossi non amano.) Fortunatamente, i fedeli che rimangono al di fuori dell’altare sono inconsapevoli di tutto ciò, dato che le Preghiere Eucaristiche si leggono in silenzio.
Si può dire lo stesso di tutte le Preghiere Eucaristiche, ma qui ne parleremo in breve. Si tratta di cose ben note.

Una cosa unica nel Canone Eucaristico di San Giovanni Crisostomo tra i russi è l’inserzione nell’Epiclesi del tropario al santo Spirito, preso dall’Ora Terza, che è relativamente antico, e che ha come supplemento i versi del Salmo 50/51. Si deve ancora notare che gli autori di questa interpolazione non sono stati i russi, dato che la si può trovare in alcuni dei manoscritti liturgici greci dell’XI secolo. Tuttavia, si è diffusa ampiamente tra i russi e, nelle menti di molti celebranti, è percepita come la vera Epiclesi. (Molti preti, quando parlano dell’Epiclesi, hanno in mente precisamente questa interpolazione. Il suo significato è elevato dalla pronuncia drammatica di queste parole, spesso accompagnata da mani e braccia alzate, mentre il diacono, recitando i versi del Salmo 50/51, si piega su un ginocchio.) Non c’è nulla che corrisponda a tutto ciò nella Liturgia greca. Senza dubbio, questa interpolazione (che potrebbe essere chiamata «l’Epiclesi entro l’Epiclesi») aggiunge un certo grado di individualismo e di pietà alla spiritualità del prete, mentre interrompe la sequenza del Canone Eucaristico. Tuttavia, durante la Liturgia di San Giovanni Crisostomo, ciò non avviene in modo brutale, dato che l’interpolazione è posta in mezzo a due frasi, e non al centro di una singola frase. È un problema interamente diverso e più serio quando nella Chiesa Russa si arriva alla Liturgia di San Basilio il Grande. Qui non c’è solo una, ma due differenti interpolazioni. La prima, così come nella Liturgia del Crisostomo (tropario al santo Spirito), ma con una differenza più ampia, dato che interrompe la prima frase del Canone a metà, seguendo il verbo in forma infinitiva, l’aoristo di anadeixai, «mostrare.» E così, dopo questa lunga interpolazione, il celebrante è quasi forzato a tornare indietro, se vuole continuare la linea del pensiero. L’artificiosità di questa interpolazione è molto più evidente qui che nella Liturgia di San Giovanni Crisostomo, dalla quale, incidentalmente, è stata tolta. (Non ha conferme in alcuno dei manoscritti greci della Liturgia di San Basilio il Grande.)

Ma di maggiore importanza è la seconda interpolazione, «metavalon to Pnevmati su to Aghio», «cambiandoli per mezzo del tuo Spirito Santo,» che è stata inserita nel testo slavonico della Liturgia di San Basilio sotto l’influenza del testo di San Giovanni Crisostomo.

Il meno che qui si possa dire, è quanto segue:

1) Questa interpolazione è un inammissibile errore grammaticale, dato che il participio metavalon, in greco, non può seguire il modo infinito di anadeixai. Nella Liturgia del Crisostomo, segue il modo imperativo di metavalein («fare»). Sarebbe appropriato usare un’altra forma infinitiva di metavalein («e cambiarli»), ma l’interpolatore ha preferito seguire servilmente il testo che ha copiato.

2) Questa interpolazione è ridondante, dato che l’Anafora di San Basilio ha già espresso l’azione di cambiamento dello Spirito Santo (chiamandolo) mentre nella Liturgia del Crisostomo la petizione è per la sua discesa sui Doni, e così le si aggiunge quella del «cambiamento».

3) Crea una mostruosità liturgica di quattro benedizioni dei Doni Eucaristici. Per evitare ciò, contrariamente a tutta la tradizione, la terza benedizione è attenuata (accompagnandola con le parole «effuso per la vita del mondo»).

Tutte queste distorsioni nella celebrazione russa della Liturgia di San Basilio hanno giustamente generato critiche da parte dei teologi russi.

Così il noto storico della Chiesa, Vasilij Bolotov [1854-1900], scrisse perfino che uno dei primi compiti di un futuro concilio della Chiesa Russa avrebbe dovuto essere quello di rimuovere tutte queste interpolazioni dalla Liturgia di San Basilio, e prima di tutte, le parole «cambiandoli per mezzo del tuo Spirito Santo.» Ci sono stati diversi concili da quel momento, ma sfortunatamente nulla è stato fatto. La ragione sembra chiara: la paura dei Vecchi Credenti, che non esiterebbero ad accusare la Chiesa «nikoniana» di «rinnovazionismo.» Un’altra ragione che si può aggiungere è la paura che la Chiesa Russa ha di qualsiasi cambiamento liturgico, anche di quelli che sono perfettamente giustificati. Questo è il riflesso conservatore da parte dei credenti. Tenendo a mente le riforme liturgiche senza successo, che i rinnovatori tentarono di introdurre nell’Ortodossia russa dopo la rivoluzione, il cambiamento meno significativo nelle funzioni porta il sospetto un ritorno al Rinnovazionismo. Si può dire che i rinnovatori, con le loro rivoluzionarie riforme liturgiche, abbiano seriamente impedito qualsiasi tentativo di migliorare gli offici divini russi per molti decenni. L’ordine pre-rivoluzionario degli offici divini è divenuto l’ideale sacrosanto del popolo.

Nondimeno, per opera dello Spirito Santo (cosa a cui credo fermamente), due importanti nuove pratiche si sono aggiunte alla vita liturgica dei fedeli: una ricezione considerevolmente più frequente dei Santi Doni (mentre prima della rivoluzione la gente riceveva normalmente la Comunione una volta all’anno) e il canto di congregazione (e non del solo coro come in passato) delle parti più importanti della Liturgia e degli altri offici divini, in particolare il Credo e il Padre nostro.

Quanto ai greci, il Credo e il Padre nostro sono letti in vari modi (ma mai cantati) seguendo una tradizione indiscutibilmente più antica, in cui venivano letti dai vescovi o dai preti non celebranti o da rispettati laici anziani. Questa raccomandabile pratica è spesso sostituita ai nostri tempi da un’altra, soprattutto tra i greci che vivono in Occidente. Queste preghiere non sono lette dagli individui più anziani tra i presenti ma da un bambino o una bambina, oppure sono lette assieme dalla congregazione (ma non sono mai cantati). Questa pratica viene dall’Occidente ed è caratteristica degli incontri ecumenici, ma è estranea agli offici divini ortodossi.

Nella Comunione dei fedeli, si dovrebbero notare due differenze tra greci e russi.

1) Quando il diacono passa attraverso le Porte Sante con il calice e chiama i fedeli ad «avvicinarsi» — «con timor di Dio e con fede,» i greci di oggi aggiungono «e amore.» Questa è una bella aggiunta, ma non rappresenta l’antica tradizione liturgica, che, riflettendo correttamente la vita spirituale sacramentale della Liturgia del Crisostomo, evidenzia il senso di timore reverenziale di fronte al «grande Mistero.» Si può notare con una buona certezza che le parole «e amore» furono introdotte nel XVIII secolo sull’Athos dai sostenitori della Comunione frequente, i rappresentanti del movimento dei «Colivadi» con a capo il Piissimo Nicodemo l’Agiorita, e furono in seguito accettate dal Tipico di Costantinopoli del 1838. Tuttavia, queste parole non penetrarono in Russia.

2) D’altro canto, la pratica della Chiesa Russa di far baciare il Santo Calice dai laici dopo aver ricevuto la Comunione non è stata raccolta dalla pietà popolare greca, che vede questo gesto come un permesso ai laici di fare qualcosa che appartiene esclusivamente al clero, vale a dire, toccare i vasi sacri.

Noteremo un’altra innovazione che è apparsa di recente tra i greci sotto l’influenza del movimento «Zoe»: il clero legge le preghiere dell’Anafora e consacra i Santi Doni in ginocchio. Questa pratica liturgica è stata soggetta ad aspre critiche da parte di un certo numero di teologi (tra i quali l’Arciprete Georges Florovsky) per il suo carattere anti-tradizionale. Da parte nostra, ci limiteremo a due commenti: 1) La lettura dell’Anafora in ginocchio è contraria ai canoni del Primo Concilio Ecumenico, che proibisce categoricamente di inginocchiarsi alla Domenica, così come tra Pasqua e Pentecoste e in altre festività maggiori. 2) Celebrare l’Anafora in ginocchio è fisicamente difficile e sconveniente. Se la tavola dell’altare è alta, è difficile fare il segno della Crice sui Santi Doni, e c’è un pericolo di versare il calice. Se è bassa, allora è difficile compiere altre parti della Liturgia stando in piedi. E comunque, il fatto che ciò sia difficile e sconveniente contraddice il vero spirito dell’officio divino, in cui tutto è armonioso. Allo stesso modo, il tentativo di superare i Padri in pietà è pretenzioso. Essi non hanno sentito come necessario o gradito a Dio celebrare l’Eucaristia in ginocchio.

Da un punto di vista teologico e catechetico, tuttavia, il più serio divario tra le pratiche liturgiche di greci e russi non va trovata nell’Eucaristia, la ma nella sua parte preparatoria, la Proscomidia. Terrò da parte la questione del numero delle prosfore da usare, siano esse una, cinque o sette come tra i Vecchi Credenti. Questa non è una questione sostanziale. Ciò che è più importante è che i greci, tra i nove ranghi dei santi commemorati mentre si rimuovono particelle dalla prosfora, pongono la commemorazione degli Archangeli Michele e Gabriele e di tutte le celesti potenze incorporee, vale a dire gli angeli, prima di quella di San Giovanni il Precursore. I russi, invece, non commemorano affatto gli angeli alla Proscomidia e iniziano immediatamente con San Giovanni il Precursore. C’è un serio problema teologico dietro queste due differenze di pratica liturgica: la Redenzione, la salvezza tramite il Sangue di Cristo, il suo sacrificio sulla Croce, sono legati solo all’umanità, oppure includono gli angeli, e hanno un significato cosmico? Il Mistero del Corpo e del Sangue di Cristo, la Santa Eucaristia, è diretto allo stesso modo agli angeli incorporei? Infine, la Caduta del genere umano si è estesa agli angeli, creando in loro una necessità di redenzione? Queste sono le domande che sorgono dalla commemorazione delle schiere angeliche. Alcuni teologi russi hanno definito eretica questa pratica, ma ufficialmente questo problema non è stato toccato da nessuna delle Chiese ortodosse. Storicamente, la lista e l’ordine dei santi commemorati alla Liturgia è stata stabilita poco a poco. In alcuni manoscritti greci dell’era bizantina, i nomi degli angeli sono inclusi; in altri non lo sono. Tuttavia, in contrasto con quanto sì è notato sopra, qui sono i greci ad avere adottato la forma espansa che include gli angeli, mentre i russi l’hanno esclusa dalla loro pratica liturgica, forse sulla base degli insegnamenti della fede. Non avendo alcuna intenzione di decidere qui questo problema da un punto di vista teologico, vorrei dire nondimeno che la pratica russa esprime una comprensione più antropocentrica della salvezza, mentre i greci pongono un’enfasi sulla sua dimensione cosmica. Qui si può mostrare un parallelo nella differenza che si nota nei testi slavonici e greci all’ecfonesi del celebrante al Matuttino prima delle «Lodi»: «Poiché tutte le potenze del cielo ti lodano e a te la gloria innalzano…» come dal testo greco, mentre i russi leggono «…e a te la gloria innalziamo: al Padre, e al Figlio, e al santo Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.» Come si può vedere, il testo slavonico è più antropocentrico: non sono «le potenze del cielo», ma siamo «noi» a innalzare la gloria alla santa Trinità.

Si potrebbe dire di più riguardo alle differenze liturgiche in altri offici (Vespro, Mattutino, Ore, etc.) tra greci e russi ma, per non espandere troppo la nostra presentazione, noteremo che almeno nella pratica parrocchiale la differenza principale è che i greci celebrano il Vespro alla sera della vigilia delle domeniche e delle feste, e iniziano il giorno seguente con il Mattutino, passando alla Liturgia immediatamente dopo la Grande Dossologia, omettendo così le Ore. I russi, invece, celebrano quello che chiamano «La Veglia di Tutta la Notte,» ovvero Vespro e Mattutino combinati, che non è un officio che dura tutta la notte. Il giorno seguente, la Liturgia è preceduta dalle Ore.

Si deve dire che ciascuna di queste pratiche liturgiche ha i propri vantaggi e svantaggi. Quella greca è più naturale e più vicina al Tipico, dato che gli offici serali sono fatti alla sera e quelli mattutini al mattino, e non al contrario come tra i russi. Ma dato che il Vespro è relativamente breve, ben pochi vengono in chiesa nelle parrocchie di uso greco, sulla base della mentalità ortodossa: non c’è senso ad andare in chiesa per una funzione breve. Quanto più è lunga la funzione, tanto più c’è ragione di parteciparvi. La Veglia russa è divenuta una funzione ben frequentata, persino a spese della Liturgia, cosa che è motivo di rimpianto. La ragione è di tipo sentimentale: la gente ama pregare nella semi-oscurità, al tremolare delle fiammelle di lampade da vigilia e candele. La Liturgia in qualche modo sfianca la gente con la sua intensità spirituale. Si dovrebbe notare, comunque, che in tempi recenti ha avuto luogo una tendenza inversa tra i russi che vivono in Occidente. Sotto l’influenza dell’ambiente eterodosso in cui vivono, e di quella falsa spiritualità, che centra tutta la pietà sulla sola Eucaristia, partecipano molto raramente alla Veglia e in questo modo si privano dei tesori spirituali e teologici che si possono trovare nella sua innografia.

Possiamo anche notare con dispiacere che oggi, eccetto che nei monasteri del Monte Athos, il Salterio è letto con poca frequenza. Così, la lettura e il canto del Salmo 1 («Beato l’uomo…»), che compone uno dei momenti solenni della Veglia russa, è stato completamente eliminato dal Vespro greco, nonostante sia richiesto dai Tipici antichi. Lo stesso si può dire per l’abolizione delle Ore nelle parrocchie greche eccetto che nella Grande Quaresima.

La Grande Quaresima occupa lo stesso posto centrale nell’anno liturgico sia tra i greci che tra i russi. Tuttavia, questi momenti, che esprimono la pietà popolare, o, se si può dire così, un’enfasi spirituale, a volte si esprimono in modo molto differente nelle due tradizioni. Se prendiamo le prime sei settimane della Quaresima (parleremo più avanti della Settimana della Passione), possiamo dire che tra i russi, una delle espressioni più caratteristiche e vibranti di vita spirituale è la preghiera «Signore e Sovrano della mia vita…» Ogni russo, anche lo scarso frequentatore della chiesa, ha familiarità con questa preghiera. Per lui, essa delimita l’inizio e la fine del periodo quaresimale. Essa distingue in modo specifico gli offici della Grande Quaresima da tutti gli altri nel corso dell’anno liturgico. La sua grande popolarità e profonda influenza sulla vita spirituale si possono vedere nella poesia di Pushkin «Padri del deserto e madri incontaminate…» Questa era la preghiera preferita del poeta, che fu profondamente commosso all’udire la preghiera recitata dal prete in chiesa. Eppure Pushkin non era una persona particolarmente religiosa. Perciò, il fedele russo sarà seriamente sorpreso e forse perfino incredulo quando apprenderà che la preghiera è di fatto sconosciuta alla maggioranza delle persone della Chiesa greca, e che non si sente nelle chiese greche durante la Quaresima.

Devo spiegare qualcosa per evitare incomprensioni. Di fatto questa preghiera esiste nei libri greci degli offici esattamente come in quelli russi. Non è omessa. È ben nota al clero, ma dato che, secondo i Tipici antichi, va letta in modo quieto, «in segreto,» i laici l’hanno completamente dimenticata eccetto che per le prosternazioni che l’accompagnano, che sono caratteristiche della Grande Quaresima. La pratica greca di leggere la preghiera «in segreto» è indubbbiamente più antica. Tutti i Tipici, inclusi quelli russi, la prescrivono (si veda per esempio la direttiva del Tipico russo corrente per l’inizio della Grande Quaresima: «Diciamo interiormente» o in altri punti, «mentalmente,» o «in segreto», «la Preghiera di Efrem il Siro ’Signore e Sovrano…’ »). La pratica russa di leggere questa preghiera ad alta voce è un’innovazione, introdotta nel secolo XV o XVI. Nondimeno, essa resta nella consapevolezza religiosa del popolo una delle più belle preghiere ortodosse, che senza questa pratica, avrebbe potuto essere dimenticata, dato che la recitazione «segreta» o «mentale» di certe preghiere potrebbe essere di profitto spirituale nei monasteri, dove i monaci sono ben familiari con gli offici divini, ma nelle parrocchie, soprattutto quelle più grandi, tale pratica può condurre all’ignoranza e all’impoverimento spirituale.

Il Grande Canone di Sant’Andrea di Creta è molto popolare tra i russi, essendo uno di quei momenti che generano un’attitudine di pentimento durante la Grande Quaresima. Esso passa quasi inosservato tra i greci. Per loro, un officio quaresimale più popolare e ben frequentato (escludendo la Settimana della Passione) è l’Acatisto alla Deipara. I greci non sono soddisfatti di averlo solo al Mattutino della Quinta settimana, come prescrivono tutti i Tipici antichi, ma lo ripetono, diviso in quattro parti, durante la Compieta delle prime quattro settimane della Quaresima. Qui uno può trovare una più intensa venerazione della Deipara durante il Ciclo quaresimale, se non ci fossero altri fattori contraddittori di cui parleremo più avanti. Paradossalmente, le preghiere per i catecumeni divengono un marchio caratteristico della Grande Quaresima poiché, eccetto che per la Liturgia dei Doni Presantificati, i greci non le sentono nel corso degli altri periodi dell’anno.

Sembrerebbe che la Liturgia dei Doni Presantificati abbia lo stesso significato per greci e russi. La gente ama questa funzione e molti vi prendono parte, soprattutto se è celebrata alla sera, come dovrebbe essere, anche se questa «ardita novità» incontra ancora forti obiezioni e non è ampiamente praticata, eccetto che tra gli ortodossi in Occidente. Ma anche se nella celebrazione della Liturgia dei Doni Presantificati non ci sono notevoli differenze che possano avere un impatto sull’esperienza spirituale del popolo, ci sono ancora alcune serie differenze teologiche, per quanto non ufficialmente formulate, che sottolineano le azioni e le parole dei celebranti dietro all’iconostasi.
Qui (con gran sorpresa di molti laici e anche di membri del clero che non ne hanno sospetto) sorge la domanda: il vino nel calice, durante la Liturgia dei Doni Presantificati, si trasforma nel Prezioso Sangue del Signore, come accade durante le Liturgie dei Santi Giovanni Crisostomo e Basilio il Grande, oppure rimane ciò che era, eccetto che per essere stato benedetto e santificato? La Liturgia russa, in ogni caso dal tempo di Pietro Mogila, risponde modo negativo: il vino non è trasformato. Questa comprensione è dimostrata dal fatto che il celebrante che partecipa del Corpo presantificato di Cristo, che è stato intinto nel Prezioso Sangue santificato alla Liturgia del Crisostomo o di Basilio il Grande, beve dal calice senza pronunciare quelle parole, che direbbe se ne partecipasse durante una «piena» Liturgia. Inoltre, se sta celebrando senza un diacono e dovrà in seguito consumare da solo i rimanenti Doni, egli non beve dal calice. Il diacono che consumerà i rimantenti Doni alla fine della Liturgia non beve mai dal calice anche quando riceve la Comunione. Bere dal calice è visto come un impedimento alla consumazione dei rimanenti doni, come si spiega nelle «Note riguardo a certe procedure per la celebrazione della Liturgia dei Doni Presantificati,» che risalgono al tempo di Pietro Mogila: «Se il prete celebra da solo… non beve dal calice fino alla fine della Liturgia… Anche se il vino è santificato dall’immissione delle particelle (del santo Corpo), non è transustanziato nel Sangue Divino, dato che su di esso non sono state pronunciate le parole di istituzione, come avviene durante le Liturgie dei Santi Giovanni Crisostomo e Basilio il Grande.» Questa stessa opinione è espressa nella pratica della Chiesa Russa di non ammettere gli infanti alla comunione durante la Liturgia dei Doni Presantificati dato che, a causa della loro età, non sono in grado di inghiottire una particella del Corpo di Cristo e il vino non è considerato come trasformato nel Prezioso Sangue. La pratica greca, come indicata nei libri degli offici, anche se in modo non troppo chiaro, presume quelli che sembrano postulati teologici completamente differenti. Riguardo alla Liturgia dei Doni Presantificati si dichiara: «Il prete partecipa… dei Sacri Doni così come durante la Liturgia di San Giovanni Crisostomo.» Intanto, mentre beve dal calice dice: «Il prezioso e santo Sangue del nostro Signore e Dio e Salvatore Gesù Cristo si dona a me…» Perciò, ciò che è nel calice è considerato il Sangue di Cristo. Ciò è rafforzato dalla pratica di bere dal calice tre volte, così come alle Liturgie del Crisostomo e di Basilio il Grande, cosa che non avrebbe molto significato se si trattasse solo di vino e non del Santo Sangue. Dopo tutto ciò il celebrante consuma i Santi Doni così come nelle consuete Liturgie. Quanto alle spiegazioni teologiche, possiamo trovarne tra i liturgisti bizantini a partire dall’XI secolo: durante l’immissione della particella del Corpo di Cristo nel calice, il vino si trasforma nel Prezioso Sangue del Signore per contatto con il suo Corpo.

Non mi voglio esprimere a riguardo di questa seria questione teologica. Formare una decisione riguardo a questa differenza (se invero ne esiste una, dato che non si possono raggiungere solide conclusioni sulla base di pratiche differenti riguardo a ciò che costituisce una differenza di fede) va al di là della mia competenza dato che la Chiesa, né a Costantinopoli né in Russia, ha adottato alcuna decisione conciliare a riguardo. Noterò solo che la spiegazione del cambiamento del vino nel Sangue di Cristo per contatto con una particola del Corpo mi sembra strana, ed è ignota ai Padri antichi. Quanto alla «nota» di Pietro Mogila, è ovviamente inapplicabile a causa della sua terminologia scolastica («transustanziazione») e alla sua teologia non ortodossa secondo la quale l’Epiclesi è sostituita dalle parole di istituzione durante la santificazione dei Domi Eucaristici.

Gli editori di libri liturgici in Russia lo capirono bene: anche se includono la «nota» di Pietro Mogila nel testo, il suo segmento più sconvolgente, che sopra abbiamo citato in parte, è mostrato tra parentesi. D’altra parte, la teoria del cambiamento per contatto porta con sé un simile difetto: non lascia spazio all’Epiclesi. Quanto alla pratica russa, sembra più corretta ma è contraddittoria in quanto prescrive che il celebrante beva dal calice tre volte (ha un senso particolare, se non si tratta del Sangue di Cristo?), ed è pure eccessiva nel vietargli di bere se è il solo celebrante.

La Settimana Santa, assieme alla Pasqua, è indubbiamente il vertice dell’intero anno liturgico, ma sia tra i russi che tra i greci, ha i propri momenti più impressionanti nella pietà popolare, anche se questi non sono sempre gli stessi.

Tra i greci, il popolo ama soprattutto due funzioni che attirano grandi folle di fedeli: l’Inno della Monaca Cassiana («O Signore, la donna caduta in molti peccati……») da una parte, e dall’altra la solenne processione con il Lenzuolo Funebre (l’Epitaffio) alla sera del Venerdì Santo. Si può dire che per il greco ordinario, questi due offici costituiscono i momenti più importanti dell’intera Settimana della Passione. L’inno della donna peccatrice è particolarmente amato, e molti laici lo conoscono a memoria e amano cantarlo. Ne parlano i giornali quando descrivono le funzioni della Settimana della Passione. Più o meno lo stesso si può dire della processione con l’Epitaffio. Non lo si porta solo intorno al tempio, ma la processione va avanti per chilometri, scortata da migliaia di fedeli che tengono candele accese e cantano gli inni della sepoltura.

Tra i russi queste cose si fanno in modo un po’ diverso, non tanto nel significato di offici e inni, che sono quasi identici, ma in relazione al loro posto nella pietà popolare. Così l’Inno di Cassiana, che tra i greci occupa un posto centrale, è cantato allo stesso modo dai russi ma non attrae lo stesso grado di attenzione da parte dei fedeli, molti dei quali non hanno neppure familiarità con esso. Per loro è semplicemente uno degli inni della Settimana della Passione, che sono tutti splendidi. Tuttavia, tra i russi, la Vigilia del Grande Venerdì (che di fatto di compie la sera del Grande Giovedì) ha assunto un significato molto speciale. I cosiddetti «Dodici Vangeli» sono uno degli offici più amati e più frequentati della Settimana della Passione. L’officio dei «Dodici Vangeli» è anche molto importante per i greci, per quanto un po’ meno che per i russi. Ma per quanto sembri strano, la pia attenzione dei fedeli greci ha come suo punto focale nella funzione l’uscita della croce con il canto di «Oggi è appeso al legno della croce…» I russi non portano fuori la croce (questa è considerata una innovazione tardiva) e il testo «Oggi è appeso al legno della croce» si canta, ma senza porvi alcuna enfasi speciale nel corso dell’officio. Per la gran maggioranza dei fedeli russi il momento più amato è il canto dell’Inno della Luce (Esapostilario), «Il buon ladrone…» durante i quali i solisti di musica lirica non esitano a cogliere l’opportunità di mostrare le proprie voci. Questo è uno degli esempi di come una variazione musicale può avere un effetto sul significato di un momento di un officio divino sulla pietà popolare.

Quanto al Grande Venerdì, per i russi, l’officio più importante del giorno non è la sepoltura di Cristo (nel pomeriggio) come tra i greci, anche se è molto commovente e attrae molte persone (non ci sono lunghe processioni), ma la processione con il Lenzuolo Funebre alla sera. Questa attrae un gran numero di fedeli e ha un più ampio significato per il contenuto spirituale della Settimana della Passione.

La Liturgia di San Basilio il Grande al Grande Sabato, con la lettura di quindici Paremie — letture dall’Antico Testamento (ridotte a tre tra i greci, eccetto che all’Athos, secondo il Tipico del 1838) non è troppo ben frequentata nonostante le sue ricchezze e la sua profondità spirituale. I russi hanno introdotto una novità liturgica, che può essere considerata brillante, davvero una delle migliori che abbiano introdotto nella sfera liturgica, e che offre un indimenticabile momento drammatico durante la Liturgia del Sabato della Passione. Nel corso della Liturgia, tra le letture dell’Epistola e del Vangelo (entrambe già dedicate alla Risurrezione), i paramenti scuri si cambiano in bianco mentre il coro canta «Sorgi, o Dio, giudica la terra: poiché avrai eredità tra tutte le genti!» [Salmo 82] Non v’è dubbio che questa non sia una pratica antica. Cambiarsi i paramenti durante la Liturgia del Grande Sabato è cosa ignota tra i greci, che hanno mantenuto il vecchio ordine, secondo il quale il clero veste paramenti bianchi dall’inizio stesso della Liturgia. La ragione è semplice: in tempi antichi il Grande Sabato era il giorno dei battesimi di massa. Questi si facevano durante la lettura delle Paremie, e l’uso richiedeva che il celebrante fosse in paramenti bianchi mentre celebrava questo Sacramento. I manoscritti slavonici del XIV secolo mostrano che in questo periodo i russi si conformavano alla pratica più antica e indossavano paramenti bianchi dall’inizio stesso della Liturgia del Grande Sabato. Apparentemente nel XV o XVI secolo qualcuno ebbe un’idea fortuita: effettuare il cambio dei paramenti durante le letture della Risurrezione. Tutti sono consapevoli di questo momento drammatico durante il Grande Sabato. È molto impressionante, anche se è spesso accompagnato da grande trambusto e disordine. I teologi russi hanno abbellito questo atto vedendovi il simbolo della discesa di Cristo agli inferi, un preludio della sua Risurrezione, o un germe della Risurrezione cosmica. Questo cambio di paramenti è divenuto così connaturato alla vita liturgica russa, che il credente russo sarebbe davvero sorpreso e perfino sconvolto ad apprendere che questa pratica non è affatto antica e non esiste nelle chiese greche.

È anche necessario e importante parlare dei particolari liturgici tra i greci e i russi durante la festa della Pasqua. Ciò che più colpisce è la lettura del Vangelo in molte lingue durante la Liturgia della notte pasquale da parte dei russi (Prologo di San Giovanni) mentre i greci lo fanno al Vespro del giorno di Pasqua (l’apparizione di Cristo agli apostoli in assenza di Tommaso).

Tuttavia, per non allungare i miei commenti, passerò all’esposizione del mio tema da un altro punto di vista: il posto della venerazione della Deipara nelle varianti che sono oggetto di questo studio. Qui c’è bisogno di notare una novità introdotta di recente dalla Fraternità Zoe sotto ovvie influenze protestanti, novità che è piuttosto comune nelle parrocchie delle maggiori città greche, ma che non si trova sull’Athos. Questa è la tradizionale espressione ortodossa «Deipara più che santa, salvaci,» che viene rimpiazzata da «Deipara più che santa, prega per noi,» che sminuiscela venerazione della Theotokos. Quest’ultima forma «prega per noi» non è in alcun modo eretica. La si trova in molte preghiere alla Madre di Dio. Ma quando la si usa per rimpiazzare «salvaci,» inizia ad avere l’aspetto di una colorazione anti-Theotokiana. Un andamento parallelo precedente si può trovare nelle direttive del Tipico del 1838. La festa dell’Annunciazione, alla luce del suo significato nell’opera della nostra salvezza — «l’inizio della nostra salvezza» — e del suo contesto, non può mai essere spostata a un’altra data anche se coincide con il Grande Venerdì, il Grande Sabato o la Pasqua stessa. Cambiando la pratica antica, il Tipico del 1838, spiegando che tale coincidenza avrebbe portato difficoltà liturgiche che potevano mettere a dura prova le abilità del clero rurale, decreta che in tali casi la festa dell’Annunciazione sia spostata al secondo giorno della Settimana Luminosa. Questa innovazione, accettata in Grecia, fu respinta dai monaci athoniti, che vi videro una diminuzione della festa dell’Annunciazione, e pertanto del ruolo della Deipara nella nostra salvezza.

La Chiesa Russa ha mantenuto l’antico ordine di non variare la data dell’Annunciazione. Si deve notare che l’adozione del nuovo calendario per le feste fisse mentre si mantiene l’antico computo della Pasqua (cosa che costituisce una mostruosità liturgica) ha risolto il problema per i greci dato che, per loro, l’Annunciazione non può più coincidere con la Settimana Santa o con la Pasqua. Tuttavia, a seguito di queste tendenze del Tipico del 1838 (se davvero esistono) si può mostrare come la festa stessa dell’Annunciazione [che coincide con la festa nazionale greca — N. d. T.] è osservata con maggiore solennità tra i greci che tra i russi. Quando ha luogo durante la Grande Quaresima (eccetto che per gli ultimi tre giorni della Settimana Santa) tutti gli offici quaresimali con prosternazioni vengono sospesi durante la festa, mentre i russi continuano a fare le prosternazioni e a leggere la preghiera penitenziale «Signore e Sovrano della mia vita…» anche nel giorno della grade festa stessa (cosa che è allo stesso modo una mostruosità liturgica). In aggiunta, come già abbiamo notato, l’officio dell’Acatisto alla Deipara Più che Santa durante la Quaresima ha un maggiore significato tra i greci che tra i russi.

Menzionerò alcune ulteriori differenze tra i particolari liturgici greci e russi sia nelle funzioni liturgiche che para-liturgiche, e nell’attitudine dei fedeli nei loro confronti. Così, prima del Grande Ingresso, un vescovo greco si inchina al popolo dalle Porte Sante, chiedendo il loro perdono, e quindi li benedice. Questa pratica è spiritualmente molto significativa, ma è andata persa tra i russi. I loro vescovi non chiedono al popolo di perdonarli prima del Grande Ingresso, né li benedicono. Si ha la sensazione che chiedere perdono in quel momento sia una faccenda appropriata ai preti. Ma d’altro canto i vescovi greci non benedicono il popolo al di fuori degli offici liturgici, e si limitano a offrire la propria mano per il bacio. Una benedizione è considerata come un atto liturgico, inappropriato al di fuori del tempio. Per i pii ortodossi russi ricevere la benedizione del vescovo al termine della Liturgia è quasi altrettanto importante che l’officio stesso. Questo si può vedere nella Russia di oggi, in cui masse di persone si raccolgono all’ingresso della chiesa e chiedono la benedizione del vescovo. Ciò si potrebbe spiegare con la pratica greca del vescovo che distribuisce personalmente l’Antidoro [pane benedetto], e in quel momento i fedeli gli baciano la mano, cosa che sostituisce la benedizione, mentre i russi prendono da soli l’Antidoro.

Infine una seria differenza nella consapevolezza liturgica tra i greci e i russi è espressa nel fatto che i greci (intendo i greci pii) vengono sempre alla Divina Liturgia a digiuno, sia che intendano ricevere la Comunione oppure no, mentre i russi sentono che questo è necessario solo prima di comunicarsi. Altrimenti ritengono che ci sia bisogno di fare colazione prima di andare alla Liturgia, per mantenere le forze. Questo non impedisce loro di prendere l’Antidoro, cosa che è considerata empia dai monaci athoniti.

Vorrei fare alcune osservazioni su ciò che è stato discusso. Devo dire che non è facile. I particolari liturgici che abbiamo esaminati sono complicati e talvolta contraddittori. A volte ciò implica semplicemente pratiche senza alcun significato particolare, che sono espressione di niente di più che di un tratto di carattere nazionale (come il «rendere onore al vescovo» tra i russi). Altri fatti esprimono tendenze di carattere spirituale (come, per esempio, il posto importante che ha il Grande Canone di Andrea di Creta tra i russi), o perfino di carattere teologico (il ben noto antropocentrismo tra i russi in contrasto con la visione del mondo più cosmologica dei greci, il loro «ieratismo»). Ma queste cose di solito implicano tendenze indefinite piuttosto che differenze o contraddizioni di insegnamento teologico. Il solo importante disaccordo teologico si potrebbe trovare nella pratica liturgica della commemorazione delle potenze angeliche alla Proscomidia, e pertanto il loro coinvolgimento dell’opera della redenzione. Allo stesso modo, c’è la questione del cambiamento del vino nel Prezioso Sangue del nostro Signore alla Liturgia dei Doni Presantificati. Questi problemi richiedono charificazioni. Ma non è necessario saltare alle conclusioni sulla base di certe differenze. Da un lato, dobbiamo anche tener conto delle differenze tra i frutti relativamente recenti di sviluppi liturgici caratteristici dei russi e dei greci, che si distinguono per grande bellezza e profondità teologica (lunghe processioni con il Lenzuolo Funebre tra i greci; recitazioni udibili della preghiera «Signore e Sovrano della mia vita…»; il cambio dei paramenti durante la Liturgia del Grande Sabato; e il canto congregazionale del Credo e della Preghiera del Signore tra i russi). Dall’altro lato, abbiamo le interpolazioni prive di senso nell’Anafora di San Basilio il Grande fatte dai russi. Qui il punto non è la creatività ma la distorsione, che dovrebbe essere corretta quanto prima. (Dovremmo comunque far notare che per quanto questa interpolazione sia ridondante nella Liturgia di San San Basilio il Grande, di per sé essa non è né falsa né eretica.) Si può dire che questi particolari liturgici — siano essi antichi o recenti, successi o insuccessi, e per di più, di poco significato quando messi a confronto con la grande unità generale di pratica liturgica ortodossa, — si possono considerare come tesori teologici e spirituali che hanno un valore nei loro contesti particolari, e nonostante alcune differenze, testimoniano l’unità della fede della Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica. Tuttavia la Chiesa, per quantro non abbia alcun desiderio di forzare un’uniformità liturgica, che sarebbe tanto impossibile quanto indesiderabile, deve ancora determinare se questi particolari locali non usurpino la propria consapevolezza conciliare.

(Messager de l’exarchate du patriarche russe en Europe Occidentale, No. 89-90, Gennaio-Giugno 1975)

http://www.ortodossia-russa.net/testi/Differences/Differences.htm

https://sites.google.com/site/textosliturgicosortodoxos/typikon/de-mons-basil